"L'inferno sono gli Altri"

Frase è tratta dall'opera teatrale "A porte chiuse" (1944) di Jean-Paul Sartre. note di Mauro Corticelli, Caffè filosofico itinerante, Vignola 6 dicembre 2025

RIFLESSIONI

Caffè filosofico itinerante

12/6/20252 min read

“A porte chiuse”: situazione iniziale e ambientazione

Tre personaggi (Garcin, Inès ed Estelle) si ritrovano in una stanza d'albergo, arredata in stile Secondo Impero. Scoprono che sono morti e sono all’inferno. Un inferno senza strumenti di tortura e fiamme. La loro tortura deriva dal loro dovere stare insieme ed alla relazione con gli altri che giudicano. E’ una relazione senza riposo.

I personaggi e i loro bisogni (Garcin, Estelle, Inès)

Garcin ha bisogno di essere visto come un eroe mentre è un vigliacco.
Estelle si crede donna desiderabile e cerca dello sguardo maschile per esistere.
Inès è lesbica e sadica che cerca di distruggere le sicurezze degli altri due per possederli.

Il giudizio reciproco e la frase “L’inferno sono gli altri”
Dinamica di condanna e smascheramento

Ognuno è carnefice degli altri, giudicandoli, smascherando le loro menzogne e inchiodandoli ad un'immagine che non è quella desiderata. Immaginiamo questo inferno come un eterno dibattito televisivo infinito.

Citazione

“Tutti questi sguardi che mi divorano... MAh! ·Voi non siete che due? Vi credevo molto più numerosi. Allora è questo l'inferno. Non l'avrei mai creduto! Ricordate? Lo zolfo, il rogo, la graticola! Ah, che buffonata! Non c' è bisogno di nessuna graticola! L’inferno sono gli altri…”

Sguardo dell’altro, identità e autenticità

L’altro non ci vede come noi ci sentiamo o vorremmo essere visti. L’altro ci cuce addosso una identità che non è la nostra.
Le aspettative degli altri /altri sociali (spesso implicite) sono catene che ci legano a modi di essere predeterminati e ci allontanano dalla ricerca della nostra autenticità per sacrificarci spesso al conformismo.
Di contro abbiamo bisogno dell'Altro. Il suo sguardo crea la nostra identità sociale e una consapevolezza di noi stessi.

Luigi Pirandello: “Uno, nessuno e centomila” (1926)


Il protagonista Vitangelo Moscarda scopre con angoscia che sua moglie, i suoi amici e i conoscenti lo vedono ciascuno in modo diverso ("centomila" versioni di lui). Ognuno gli attribuisce un'identità fissa che non corrisponde a come lui si sente. La sua crisi è tutta nella ricerca di un'identità autentica.
«Vuoi sapere perché sia venuto a nascondermi qua? Eh, Bibí, perché la gente mi guarda. Ha questo vizio, la gente, e non se lo può levare.… Ah, Bibí, Bibí, come faccio? Io non posso piú vedermi guardato neanche da te. Nessuno dubita di quel che vede, e va ciascuno tra le cose, sicuro ch’esse appaiano agli altri quali sono per lui …..”
Secondo Pirandello, ogni individuo è costretto a indossare una o più "maschere" sociali per rispondere alle aspettative degli altri ma questo suscita la nostra crisi interiore.

Italo Calvino: “Le città invisibili”


L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”

Rainer Maria Rilke: la parola degli uomini


«Io temo tanto la parola degli uomini.
Dicono tutto sempre cosí chiaro:
questo si chiama cane e quello casa,
e qui è l'inizio e là è la fine.

E mi spaura il modo, lo schernire per gioco,
che sappian tutto ciò che fu e sarà;
………..

Vorrei ammonirli, fermarli: state lontani.
A me piace sentire le cose cantare.
Voi le toccate: diventano rigide e mute.
Voi mi uccidete le cose.»